Riassunto del testo "Dicerie dell'autore". Bufalino è conosciuto unanimemente per la difficoltà della sua scrittura, tanto che la metafora era il cibo della sua prosa. La sua la si definisce una scrittura barocca, alla Borromini. Nel riassunto vengono trattate le maggiori opere dello scrittore, la sua poetica e il suo percorso letterario.
Letteratura italiana moderna e contemporanea
di Gherardo Fabretti
Riassunto del testo "Dicerie dell'autore". Bufalino è conosciuto unanimemente
per la difficoltà della sua scrittura, tanto che la metafora era il cibo della sua
prosa. La sua la si definisce una scrittura barocca, alla Borromini. Nel riassunto
vengono trattate le maggiori opere dello scrittore, la sua poetica e il suo
percorso letterario.
Università: Università degli Studi di Catania
Facoltà: Lettere e Filosofia
Esame: Letteratura italiana moderna e contemporanea
Docente: Maria Caterina Paino
Titolo del libro: Dicerie dell'autore
Autore del libro: Maria Caterina Paino
Editore: Olschki
Anno pubblicazione: 20101. G. Bufalino : Biografia
Bufalino nasce a Comiso il 15 novembre del 1920. Gesualdo è, sin dall'infanzia, affascinato dalla letteratura
e dai libri, e trascorre ore ed ore nella piccola biblioteca del padre, un fabbro con l'hobby della lettura. Già
da ragazzo, Bufalino si dimostra un "divoratore" di libri e della carta stampata in generale. Nonostante
l'impossibilità di comprare ogni giorno un quotidiano, che divorava al pari dei libri, si arrangia in ogni modo
per procurarsi sempre qualcosa di nuovo da leggere.
Iniziò a frequentare il liceo a Ragusa. Nel 1936 tornò poi a Comiso, dove ebbe come insegnante di lettere
Paolo Nicosia, un valente dantista. Studente diligente ed interessato, portato per la scrittura, nel 1939 vinse il
Premio letterario di prosa latina bandito dall'"Istituto nazionale di studi romani" e venne ricevuto a Palazzo
Venezia da Benito Mussolini.
Successivamente si iscrive alla facoltà di "Lettere e Filosofia" dell'Università di Catania e di Palermo, ma
nel 1942 a causa della seconda guerra mondiale è costretto a interrompere gli studi perché chiamato alle
armi. Nel 1943, in Friuli, il sottotenente Bufalino fu catturato dai tedeschi all'indomani dell'armistizio, ma
riesce a fuggire poco dopo e si rifugia presso degli amici in Emilia-Romagna, dove per un po' va avanti
dando lezioni.
Nel 1944, però, si ammala di tisi, e sarà costretto a sopportare una lunga degenza, prima a Scandiano, dove
ha a disposizione un'imponente biblioteca, poi, dopo la Liberazione, vicino Palermo, in un sanatorio della
Conca d'Oro, dal quale esce finalmente guarito nel 1946. La permanenza in ospedale lo mette a dura prova,
lasciando segni indelebili della sofferenza. Proprio questo lungo calvario, però, servirà da base e da motivo
ispiratore, filtrato dalla memoria, nella sua opera d'esordio, una sorta di biografia nascosta tra le pagine di un
racconto apparentemente distaccato, Diceria dell'untore (1981). Una volta guarito riprende gli studi e si
laurea in Lettere nell'ateneo di Palermo.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letteratura italiana moderna e contemporanea 2. Lo scrivere difficile di Bufalino
Bufalino attribuiva alle sue opere il carattere di poemetti narrativi e fantamemorie, non di saggi, diari o
romanzi, sostenendo che tra poesia e prosa i confini fossero fluidi e irriconoscibili. Parafrasando Paul
Valèry, sosteneva che vi fosse un senso che vuole farsi suono e un suono che vuole farsi senso, confermando
l'indole lirica dei suoi testi, in cui da un lato i suono prevale sul senso mente il senso aspira volentieri
all'eroico e al sublime, sebbene corretti dall'ironia. Se anche i suoi eroi sono tenori, soprano o baritoni –
raccomandava – ciò non toglie nulla alla verità della loro pena o passione.
Bufalino è conosciuto unanimemente per la difficoltà della sua scrittura, e la metafora era il cibo della sua
prosa. La sua la definisce una scrittura barocca, alla Borromini, cioè ornamentale ma funzionale nella sua
ornamentali. Le sue metafore vogliono avere un plusvalore di adescamento, cercano il piacere
contemporaneo dell'autore e del lettore, instaurando una complicità massonica. Una metaforicità così forte
che l'ambiguità nei suoi testi regna, volontariamente, sovrana. Non ama ammettere che la gente ha capito
circa il 40% di ciò che vuole dire ma ammette di non avere fatto nulla per aiutare i lettori. A Bufalino non
interessa molto il gioco degli eventi e ammette di non saper essere un romanziere d'avventura. Ciò che
accade è in funzione dei personaggi e delle loro parole; ciò che accade veramente è la parola, il suo vero
personaggio è la parola. Persino la vita o la morte di un personaggio dipendono da un pugno di sillabe a cui
non intende rinunciare. Gli aggettivi sono vitali per lui. Altro carattere distintivo di Bufalino è il ricorso alla
citazione, che serve non per copiare ma per prendere le distanze dal reale, per aizzare il lettore, per evocare
una dimensione culturale viva in lui. I suoi personaggi sono niente più che proiezioni esterne dell'io poetante
e il suo rapporto col lettore è difficile, soffrendo molto la paura e il disprezzo del lettore ignoto, che per un
prezzo troppo basso, il costo del libro, può leggerlo, giudicarlo e magari buttarlo.
Bufalino ammette di avere dedicato moltissimo tempo alla retorica, allo studio dei suoi ingranaggi e alle
funzioni che le sono prerogate. Il punto più delicato, dice, è l'innesto di questa impalcatura su una scrittura
che sia egualmente serbatoio credibile di sentimenti e figure. L'opera è un frutto fatto di buccia (la scrittura)
e polpa (figure, affetti, passione) che deve unire i due aspetti armonicamente. L'ironia, poi, anodizza, come
una vernice protettiva, gli eccessi della macchina retorica, come i parossismi e gli abbandoni del cuore. Un
libro di Bufalino è come un' opera di Le Corbusier: un progetto unitario che si evince dalle singole unità.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letteratura italiana moderna e contemporanea 3. Diceria dell'untore - Bufalino -
Iniziato nel 1950 e ripreso dall'autore nel 1971, fu pubblicato nel 1981. Il romanzo ebbe un immediato
successo e vinse il Premio Campiello lo stesso anno. Originariamente voleva essere una sorta di Vita Nova,
con poesie alternate ai capitoli, che poi invece finirono nella raccolta de L'amaro miele. Un aspetto
prosimetrico a testimonianza della liricità viscerale di questo romanzo sin dalla nascita, il cui primo capitolo
– non è dato sapere quale – nacque come tentativo di intrecciare un certo numero di parole, che pur remote
per significato, erano vicine per timbro, odore e colore. Già da qui si nota l'intenzione di Bufalino di
comporre una sorta di partitura musicale, un recitar cantando dove gli assoli venissero sostituiti dall'ironia
scaltra. Stimoli esterni furono i versi, alcuni versi, di Ibn Zafar; le suggestioni del Trionfo della Morte e
naturalmente il tentativo di esorcizzare la paura di essa.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letteratura italiana moderna e contemporanea 4. Le opere di Bufalino
Museo d'ombre - 1982 -
Un'antologia di Spoon River o la Racalmuto sciasciana in versione Comiso bufaliniana.
L'amaro miele - 1982 -
Contiene versi scritti tra il 1940 e il 1954. Una raccolta anomala perché lontana da quelli che furono i
risvolti della poesia italiana del dopoguerra, perché non appartiene all'esperienza ermetica, ma a quelli pre
ermetici del grande Decadentismo europeo. Bufalino tenta anche una sorta di restaurazione neoclassica,
convinto che la poesia necessiti di regole, al di là dei salutari divincolamenti anti accademici.
Dizionario dei personaggi di romanzo - 1982 -
Antologia di brani di romanzi famosi.
Argo il cieco - 1984 -
Per Bufalino è un falso romanzo giocato su due registri, come nel bilanciamento di due forze contrapposte,
perché i veri protagonisti sono due, anche se poi si tratta della stessa persona, da giovane e da vecchio. Un
duello a distanza, in cui il giovane agisce da uno spazio aperto e felice, il vecchio da una stanza chiusa
d'albergo. Ci sono due città, due tempi, due stagioni, due linguaggi. Tutto è doppio. Non c'è un vero epilogo.
Resta come sottofondo del libro un'ironica, spinosa, disperazione di felicità. Malgrado il vecchio tenti di
insaporire il passato il passato di ironie dolorose, l'arma della scrittura gli si spunta tra le mani. Una volta
usciti dall'Eden non è più possibile ritornarvi. Alla fine vince la vita, il quotidiano stupore di esistere: la
tentazione di vivere fa aggio su quella del morire. Il libro dunque è in bilico tra questi due toni, l'allegro e il
funebre, gli alleluia della gioventù e i mea culpa della vecchiaia.
Non si dimentichi però che c'è un terzo personaggio, l'io scrittore, che si osserva scrivere con la mala
curiosità di chi mentre fa l'amore si guarda allo specchio. È un romanzo che racconta l'impossibilità di
scrivere un romanzo. È un romanzo semiologico, di strutture e segni, dove il linguaggio è il vero eroe del
libro.
L'uomo invaso - 1986 -
Il tema centrale è la vita: spaventosa, misteriosa, bellissima; con effetti di terrore, stupore, estasi. È
sicuramente un libro nuovo perché anzitutto si stacca, almeno in parte, dalla Sicilia e solo cinque su ventitrè
sono ambientanti nell'isola. Il secondo punto innovati è la storicizzazione dei vari protagonisti, che non sono
cioè inediti. È il tentativo di dare almeno principio ad un progetto che crei una grande Commedia storico –
mitica, una specie di storia universale attraverso dei flash romanzeschi nei luoghi e nei tempi ricavati dalla
memoria collettiva. Anche su questo calmo mare di personaggi conosciuti, però, si solleva improvvisamente
l'onda dello spaesamento, dell'ironia.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letteratura italiana moderna e contemporanea
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letteratura italiana moderna e contemporanea 5. Bufalino e le opere degli anni '90
Il malpensante - 1987 -
Una raccolta di aforismi e pensierini vari in forma di lunario. L'aforisma che per Bufalino non nasce
dall'esperienza di avvicinarsi alla verità dopo meditazione, ma come motto fulmineo dettato da un umore
momentaneo.
Le menzogne della notte - 1988 -
Bufalino lo definisce un Decamerone carcerario, dove la verità si ribalta continuamente in menzogna e
viceversa. È una macchinosissima avventura mentale dove in ogni personaggio si avverte la presenza
dell'autore. Il Governatore, naturalmente, reduplica il medico come la fortezza il sanatorio di Diceria. Tutti i
personaggi parlano con proprietà di linguaggio e tutti hanno avuto esperienze intellettuali.
Calende greche - 1990 -
Il titolo vuole alludere a giorni non vissuti o vissuti dall'autore in maniera tale da non apparire più come
suoi. La sfrontatezza della confessione è solo apparente e un ulteriore depistaggio sta nell'uso alterno delle
prime tre persone del pronome riferite allo stesso eroe. Si gioca a carte truccate dunque, e il vero e il falso si
mescolano inestricabilmente. Più che a momenti autentici della parabola umana di Bufalino, il libro si ispira
a quelle stampe popolari con le età dell'uomo. Bufalino aveva pensato ad un romanzo in crescita perpetua,
sempre in fieri. Non va trascurata la finalità autoterapeutica del libro, nel senso che questo in fieri avrebbe
consentito all'autore di modellare in forme nuove o più gratificanti la plastilina della mia vita. Tra le tante
maschere, un punto rimane violentemente autobiografico: lo spirito del protagonista, dominato da un
sentimento assoluto che è il disinganno.
Qui pro quo - 1991-
Voleva firmarsi con uno pseudonimo, in omaggio al titolo, ma l'avrebbero capito subito. Lo scrisse per
medicina e giocattolo. Il finale non conclude, come questa epoca. Bufalino aveva pensato a molti possibili
finali e la storia potrebbe andare avanti all'infinito passando da un colpevole all'altro. Medardo Aquila forse
è un transfert di Bufalino: sia Medardo sia il protagonista delle Menzogne hanno tendenze suicide.
Tommaso e il fotografo cieco - 1996 -
La buccia del libro è la storia di Tommaso Mulé, giornalista con ambizioni di scrittore che si rintana nello
scantinato di un condominio borghese e da un finestrino di tolleranza osserva, come da una caverna
platonica, le ombre della vita, senonché la vita si riprende le sue rivincite coinvolgendolo in peripezie senza
fine. In concreto il libro, però, riassume tutti gli altri romanzi. Bufalino voleva intitolare il romanzo Patatràc,
temendo che il titolo con la parola cieco riprendesse Argo.
La macchina fotografica ha una funzione mitopoietica e magica di fulminare il tempo, perché lo blocca ed è
un tema già presente in Diceria. Dopo un sanatorio e un carcere, stavolta un condominio, luogo per niente
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letteratura italiana moderna e contemporanea solenne ma popolare dove si può parlare un linguaggio comune.
Bufalino ha voluto stravolgere un po' le carte in modo che vita e letteratura fossero due specchi contrapposti
che si riflettono l'un l'altro così da smarrire l'identità. Non si sa più chi inganna l'altro, se la letteratura la vita
o viceversa.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letteratura italiana moderna e contemporanea 6. Il sentimento di morte di Bufalino
Bufalino è uno scrittore che ama ritornare e concentrarsi sempre sugli stessi temi, quasi come fossero
inguaribili ossessioni, che l'autore si premura di dichiarare e ostentare sin dal primo romanzo. Sono sentieri
di riflessione percorsi per sessant'anni, fatti di pochi eventi e molte lettura, poi messi su carta in maniera
debordante: esito inevitabile per chi ha covato per così tanto tempo i suoi fantasmi. Bufalino ha sempre
avuto il terrore del fraintendimento, così non ha mai mancato di formulare minuziosi indici – guida dei suoi
temi, fossero essi generali o relativi ad un' opera in particolare, distinzione comunque superflua considerato
la solida compattezza di fondo dell'universo poetico bufaliniano.
Diceria dell'untore.
Le primissime indicazioni tematiche dettagliate le troviamo già in Istruzioni per l'uso, a prefazione di
Diceria dell'untore, romanzo al quale Bufalino dedica il tema dei temi della sua ricerca:la scoperta del
sentimento di morte, vista come esperienza lacerante e affascinante, da esorcizzare e corteggiare parimenti;
l'ingresso dell'idea della morte in un cuore innocente, come ebbe già a scrivere nel 1976 all'amico Angelo
Romanò, mentre si trovava ricoverato a Scandiano.
Non si tratta tanto dell'idea della scoperta della morte in quanto tale ma dell'inizio di una dolorosa familiarità
con essa, poiché il continuo procrastinarsi di essa porta lo scrittore ad iniziare una curiosa scherma d'amore
(p.19), fatta del continuo sentire il fiato sul collo, dell'apprendistato alla convivenza in un appartamento
ideale fatto di terrore e affezione: la malattia. Della morte non sappiamo nulla e mai sapremo, come diceva
ne Le menzogne della notte, ed è l'attesa di essa che invece esperiamo, ed è la malattia a trasformarla in una
permanente condizione esistenziale d'eccezione. Il tema della malattia regna nel primo romanzo ma compare
anche in quelli successivi. La malattia è la metafora di un modo di rapportarsi alla vita. Una malattia che è
sinonimo di imitatio Christi: il malato è un segnato, vittima di uno stigma che tuttavia cerca di rivendicare il
proprio status come uno stemma (p. 18); un'operazione, questa, operabile solo attraverso la scrittura, nella
sua dimensione fittizia, perché solo attraverso il filtro letterario la presunzione di distinguere e nobilitare il
male può avere contorni credibili. Come il malato, il poeta è non a caso un costituzionalmente diverso, un
fiore del male alla Baudelaire.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letteratura italiana moderna e contemporanea 7. Il rapporto di Bufalino con Baudelaire
La vicinanza con Baudelaire non è casuale, considerato che la genesi di Diceria dell'untore si colloca negli
anni Cinquanta, nello stesso periodo in cui Bufalino traduceva le sue poesie, quasi per esigenze terapeutiche.
E parecchie sono le contaminazione baudelairiane nel romanzo. L'apprendistato amoroso sui versi ispirati
dalla musa malata di Baudelaire e la reale esperienza del sanatorio si sovrapponevano idealmente nel
momento in cui quell'esperienza si fa letteratura; parecchi sono i luoghi baudelairiani nel romanzo di
Bufalino.
Un'altra spia della loro contiguità si trova anche nell'introduzione che Bufalino scrisse alla sua traduzione
della raccolta dei Fiori del Male. E tra le liriche inizialmente previste ad apertura dei capitoli della Diceria è
significativa quella che fa eco al Canto d'autunno, che riproduce in modo più diretto l'erotismo malato che
già Bufalino lasciava intendere nell'introduzione; un doloroso connubio tra desiderio fisico e morboso
corteggiamento dei segni ripugnanti della malattia cui sono non a caso costantemente improntati gli incontri
tra i due protagonisti tisici di Diceria. Incontri frettolosi, strappati alla morte ed eloquentemente inaugurati
da un perverso preliminare amoroso tra le rispettive radiografie, in cui Bufalino indulge esplicitamente a
quella sessualità necrofila che aveva già sottolineato in Baudelaire, poeta che Bufalino aveva indicato come
contraddittoriamente attratto da ogni creatura “in cui sappia riconoscersi e da cui possa spremere insieme
ribrezzo e misericordia.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letteratura italiana moderna e contemporanea